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“Della stessa sostanza dei Padri” di Davide Colacrai

Dettagli Prodotto:

Editore: Le Mezzelane Casa Editrice; Unabridged edizione (5 marzo 2021)
Lingua: Italiano
Copertina rigida: 72 pagine
ISBN-10: 8833285383
ISBN-13: 978-8833285382

Link d’Acquisto:

Recensione a cura di Jennifer Gaspari:

Buongiorno Amabili. Oggi è per me un giorno molto speciale, oggi sono chiamata a mettermi in gioco, a superare i miei limiti, a cercare di farvi capire quanto, il libro che vi presenterò oggi, abbia fatto suonare le corde della mia anima. Prima, però, vorrei introdurre mettendovi al corrente di quanto sia assolutamente complicato per me parlarvene, non essendo minimamente all’altezza di cogliere tutto ciò che vive nei versi profondi ma delicati di un poeta che mi ha fatta addentrare nel proprio mondo artistico, nel quale la mia mente ha arrancato alla ricerca di significati e beltà. Non essendo io, però, di certo in grado di descrivervi metriche o colpirvi con terminologie tecnicamente colte e corrette, cercherò semplicemente di illustrarvi le emozioni che i versi di Davide Rocco Colacrai mi hanno donato, chiedendo scusa in partenza, se magari avrò l’avventatezza di ricavarne contenuti che mischiano il mio istinto da lettrice con i versi certamente più complessi di Davide. In particolare a te, mio armonico autore, chiedo venia se le cose che andrò a scrivere risulteranno delle assolute scempiaggini.

“Quando il potere porta l’uomo verso l’arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe la sfera di interesse dell’uomo, la poesia gli ricorda la ricchezza e la diversità dell’esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia rigenera.”
J. F. Kennedy

Ho voluto iniziare citandovi le parole di J.F.K. perché leggendo la silloge di Colacrai mi è accaduto esattamente ciò che queste parole annunciano sulla poesia: mi ha ricordato i miei limiti, mi ha rammentato la ricchezza e la diversità dell’esistenza, ma soprattutto mi ha rigenerata. Io, abituata a leggere parole su parole, capitoli su capitoli alla velocità dettata da narrazioni che tendono all’affamare il lettore alla sete di conoscenza, ho dovuto arrendermi al ritmo rallentato ed ovattato di versi che costringono la mente a staccarsi dal tempo e dallo spazio per affondare totalmente in un processo quasi spirituale che affida ad ogni singolo lemma eccezionali valori. E’ accaduto così, che prendendo fiato, decelerando e inspirando vibrazioni fonetiche, ho tentato, in punta di piedi, di rigenerare il mio essere di semplice lettrice.

Della stessa sostanza dei padri

Fin dal primo verso ho avuto la sensazione che Colacrai desiderasse restituire, attraverso figure metaforiche, parole dirette ed immagini sonore, un nuovo corpo a dei corpi che hanno vissuto vite incatenate in quella pelle che li ha ridotti prigionieri di se stessi e che troppe volte li ha resi vulnerabili e vittime di un’umanità incapace di vedere sotto quella pelle, dentro quella carne, tra quelle ossa che sono state rotte senza scrupoli. Un poeta che non ha avuto il benché minimo tentennamento nell’arrivare a presentare ventisette vite alle quali è stata richiesta la tolleranza, non una tolleranza come quella di cui ci piacerebbe leggere però, ma quella che esce dal petto di chi la dovrebbe pretendere, ma impara, invece, a dimostrarla verso i propri oppressori. Davide non cade in un facile pietismo poetico, ma rincara sulla coscienza di ognuno di noi, rendendo, finalmente, protagonisti positivi coloro i quali, per un motivo od un altro, l’esistenza ha tolto la possibilità di festeggiare la vita.

Della stessa sostanza dei padri, ma diversi da loro e per questo meno degni di abitare in un mondo che li rispetti. Della stessa sostanza di quei padri che per primi, magari, si scostano da quell’amore che dovrebbero provare con naturalezza, quell’amore che dovrebbe essere innato e incondizionato. Come nella poesia “Minchia di mare” in cui più che somigliare al padre, il protagonista sente di essere come sua madre “…e mio padre: muto, per niente felice, senza piccioli/ e cunzatu come il pane: con un figlio che lui/ stesso chiamava/ minchia di mare”. Padri che, agli occhi dei loro figli, tendono sempre a sfiorare una ideologica perfezione, padri che mettono al mondo individui che magari non avrebbero scelto, che magari avrebbero desiderato diversi, padri che magari, ai loro figli invidiano il coraggio di non demordere, di non smettere di lottare. E poi ci sono anche padri diversi, quelli che magari lo vorrebbero divenire, ma non possono, quelli che desidererebbero anche essere madri, ma ai quali non viene consentito. Quel padre che sente l’avanzare di un tempo che non cambierà e che non gli regalerà l’onore di essere della stessa sostanza di un padre, o di una madre: “sento l’aria che si lascia inseminare dalle fate/ che curano quei sogni/ che sono prossimi a spegnersi/ e impediscono all’oscurità di aprirsi a ragnatela/ e inghiottirci…”.

Ma la poesia di Colacrai non è fatta solo di speranze, o delusioni, o di fili tirati a spiegare l’inspiegabile, è fatta di corpi, come avevamo anticipato, è fatta di facce, è fatta di vite raccontate. Ogni componimento, infatti, prende spunto, o viene dedicato ad una figura maschile, sia essa realmente esistita, famosa, inventata, o parte della vita del poeta. Ci ritroviamo, perciò, a ripercorrere con la mente esistenze che hanno lasciato il segno in una società in cui regna la normalità, ma che viene scritta da persone incasellabili in questa presunta regolarità. Esseri speciali di cui vengono narrate le storie senza quell’esposizione pericolosa che la gente ama e brama. Davide li racconta attraverso versi delicati, che ne fanno emergere quel lato esclusivo e peculiare che la società tende a deridere, a denigrare, ma che inglobati in versi poetici divengono forti come macigni e delicati come fiori, pronti però a rimanere unici, a rimanere originali, a rimanere preziosi. “Stemperava questo vortice/ il coraggio che indossava Wonder, quasi un moto di fede,/ che lo spingeva, con un solo gesto,/ a mostrarsi,/ a fiorire come gli altri…” è così che incontriamo Auggie, il protagonista indimenticabile di “Wonder” e ci stupiamo quasi che un libro per bambini trovi il suo posto in uno di poesie… ma forse era proprio l’intento di Colacrai, quello di farci intuire che chiunque può divenire arte, chiunque può divenire il centro di un verso, chiunque può divenire protagonista di se stesso.

Oltre ad Auggie, la nostra mente sarà chiamata a ricordare figure maschili che ricoprono una totalità di tipologie esistenziali davvero ampia. Leggeremo versi dedicati al memorabile ballerino Rudolf Nureyev, o al poeta Reinaldo Arenas, o a Stefano Cucchi. Ognuno di loro graffierà indelebilmente le unghie del loro vissuto sul telaio della nostra anima. Ognuno di loro otterrà quella libertà di parola ed espressione che per tutta la vita anelava di conquistare, chi attraverso un passo di danza defraudato ad un paio di scarpette con la punta, chi attraverso metriche ribelli e censurate, chi attraverso una morte violenta, raccontata sempre con quell’incertezza di un dubbio che non riesce, nonostante tutto, a rompere le sbarre di una prigione fisica e morale.

“…c’era l’inquietudine al domani/ e la condivisione, anche della sola parola,/ era possibile di notte/ quando la luna sembrava cadere di lato/ e le ombre intrecciarsi in punta di piedi…”

“…Ed è così che ho lasciato il mio corpo al tramonto di gelso,/ morbido e feroce, non ancora pronto a scivolare dal buono, e senza/ rimorso./ Come una virgola di farfalla in uno spillo che sarà”

Ricorderemo storie già esposte, già favoleggiate, ma che, leggendo i versi di un poeta dall’intenso commemorare, si imprimeranno in un modo diverso, penetrante e quasi lancinante; non più nella memoria di una mente incline alle sentenze, ma in un ventre propenso ad assimilare emozioni spaventose, dolorose ma ponderate e digerite attraverso un corpo vivo e ricettivo.

Le poesie di Colacrai scavano e lasciano solchi emotivamente sapienti all’interno di chi li legge.

Sono proprio le emozioni che scorrono tra le righe a prendere il sopravvento, ad offrire, anche ad una lettrice che poco sa di poesia come me, quella giusta chiave interpretativa che rende ogni singolo componimento un’esperienza sensoriale e corporea. E quello che accade, non appena si svela il perno centrale, è l’aprirsi dinanzi a noi di una consapevolezza piena, quasi basica, ma a noi esseri dannatamente sopravvalutati, a momenti dimenticata. La comprensione dell’immensa fragilità umana, dell’eccessiva esposizione che la vita richiede a chi, in un modo o nell’altro, non ricade di diritto in una normalità, in una consuetudine, in una prassi che offre certezze, per poi strapparle appena una virgola non viene scritta nel posto giusto, per poi denudare chi osa, per poi evidenziare chi non è della stessa sostanza dei padri.

Colacrai ci mostra, con estrema eleganza evocativa, quanto quell’amore non perfetto, o quella penna irriverente, o quel viso non conforme possano magnificare quella bellezza scomposta, ma assolutamente pregna di fascino, di quel dolore padre di infiniti stili letterali, di quella immensità di individui soli con se stessi, chiusi dentro il proprio sentirsi diversi che non sanno quanto possano diventare meravigliosi agli occhi di chi sa guardare oltre le barriere.

Sembra mettere mano alla sua arpa Davide, per comporre nuovi suoni, nuove illuminanti melodie che possano aprire menti e cuori e farli ricomporre all’interno di una poesia innovativa che spinge verso l’alto, verso il bello di ciò che viene invece segnato a fuoco come marcio, come inappropriato. Espone il suo pensiero con rispetto e cortesia, ma col pugno fermo di chi sa di aver visto qualche cosa al di là di una convenzione sociale, oltre un sistema che ci vuole sulla retta strada e che la delinea senza via di scampo alcuna. Colacrai scrive “una specie di favola/ nella quale navigare senza direzione nè destino…”

Davide e la sua arpa

“Sapevo sin dalla nascita, o forse persino dal concepimento, di avere un assioma da provare…”

E’ con queste parole che Davide mi cattura e non mi lascia scampo, perché a volte un verso è destinato a te e tu lo scopri solo nell’istante in cui i tuoi occhi ne prendono possesso. E ti senti meno sola. Ed è questo che tale delizioso poeta mi ha insegnato, verso dopo verso, a sentirmi meno sola se, nel momento in cui non sono la persona che dovrei essere, nel momento in cui mi sento sbagliata, oppure nell’attimo in cui non credo di essere all’altezza, alcune delle sue parole, potrebbero essere dedicate a me, anche indirettamente. E in un mondo in cui non ci si sente soli, la forza acquista un potere disumano, inarrestabile, combattivo, indistruttibile. Ed è così che vorrei si avverassero i sogni dei protagonisti inconsapevoli dei componimenti di Davide, è così che vorrei veder nascere una realtà in cui (e qui rubo la battuta a Guido Marangoni) “Siamo fatti di-versi, perché siamo poesia”.

Voglio concludere questa, forse sconclusionata e assolutamente non tecnica recensione, ringraziando Davide di averci donato l’occasione di vivere per qualche pagina in un mondo dove tutti hanno voce, e lo ringrazio di essersi messo a loro disposizione come traduttore emozionale e geniale cassa di risonanza. Vorrei chiedergli, ancora una volta, perdono se le mie parole non hanno colto tutta l’essenza di poesie intrise di sangue e sogni, di non averne snocciolato metriche o analisi dettagliate, ma il mio leggere si ferma forse al lato emozionale. Magari è un limite, magari ha intrappolato anche me nella moltitudine solitaria degli imperfetti, ma mi ha fatto compiere, però, un viaggio che mi ha fatto vibrare le corde di una nuova musica. Ora lascio a voi la stessa occasione, sperando che la cogliate al volo.

“…ogni filo d’erba il principio di un volo/ ogni volo una nuova sorte…”

Buona Amabile Lettura

Sinossi:

A due anni da “Asintoti e altre storie in grammi”, il poeta Davide Rocco Colacrai, torna con una nuova silloge poetica – edita da Le Mezzelane – “Della stessa sostanza dei padri – Poesie al Maschile” (72 pag. – formato 15×21 con alette e segnalibro ritagliabile – prezzo copertina Euro 11,00).

Il volume, terza silloge edita dalla casa editrice anconetana , si compone di 27 poesie che parlano dell’uomo in tutte le sue estensioni e visioni.

Ogni componimento ha un preciso rimando ad un uomo, un amico, un personaggio pubblico; questi uomini ispirano, con la propria vita e le proprie opere, versi eleganti che cristallizzano e fissano su carta tematiche potenti e attuali, spesso difficili da affrontare.

Ci sono versi dedicati alla pazzia e ai manicomi, alla droga, al suicidio, all’omosessualità nei campi di concentramento e l’onta familiare di scoprire un parente gay, ai migranti e alla loro terribile fine, alle lotte politiche anti-dittatoriali.

Molte poesie sono ispirate a personaggi afferenti alla sfera personale dell’autore ma tanti altri sono personaggi famosi; ci sono infatti versi ispirati e dedicati a Rudolf Nureyev, al giovane calciatore calabrese Nunzio Lo Cascio, allo scrittore anti castrista Reinaldo Arenas, a Stefano Cucchi e allo scienziato Stephen Hawking.

Davide Rocco Colacrai riesce con disinvoltura ad affrontare tante tematiche forti e dolorose grazie all’uso sapiente degli aggettivi e delle figure retoriche che si contaminano continuamente con altri “media” letterari e non (narrativa, film, canzoni).

Questa silloge, come molto bene descrive lo stesso autore, si può considerare come una risposta a “Istantanee Donna – Poesie al femminile” ma anche “un importante punto di evoluzione nella mia vita, contemporaneamente un nuovo punto di arrivo e un nuovo punto di partenza; è una presa di coscienza, umana ma anche spirituale, che prima mi mancava”.

Biografia Autore:

Giurista e Criminologo, Davide Rocco Colacrai è al suo dodicesimo anno di carriera e partecipazione a Premi Letterari; ha infatti ricevuto numerosissimi riconoscimenti nazionali e internazionali. Tra gli ultimi: il Premio Letterario Europeo “Massa, città fiabesca di mare e marmo” (aggiudicato per il secondo anno non consecutivo), la Medaglia di Bronzo per Meriti Letterari al Premio Internazionale “Medusa Aurea” organizzato dall’A.I.A.M. (dopo aver vinto quella d’oro per due volte consecutive) e il Premio come Poeta dell’anno all’omonimo Premio Internazionale organizzato da Otma2 Edizioni.

Ė autore dei seguenti libri: “Frammenti di parole” (2010), “SoundtrackS” (2014), “Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte” (2015), “Infinitesimalità” (2016), “Istantanee Donna (poesie al femminile)” (2017), “Il dopo che si ripete, sempre in sordina” (2018) e “polaroiD” (2018), che ama presentare sotto forma di spettacoli di “poesia in teatro”, con cui gira da alcuni anni l’Italia.
Hanno scritto di lui Alfredo Rienzi, Carmelo Consoli, Livia de Pietro, Armando Saveriano, Italo Bonassi, Flavio Nimpo, Mauro Montacchiesi, Gordiano Lupi, Alfredo Pasolino, Stefano Zangheri e molti altri.
Nel tempo libero, insegna matematica, studia recitazione, è autore radiofonico per whiteradio.it, colleziona 45 giri da tutto il mondo (ne possiede duemila), ama leggere, praticare sport all’aria aperta e viaggiare.

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