Intervista a cura di Daniela Sardella
Cari lettori, eccoci con il nostro appuntamento settimanale:”Amabili Interviste”. Oggi avremo come ospite l’Autore Ottavio Mirra che ci racconterà com’è iniziato il suo percorso come scrittore e avremo l’opportunità di conoscere qualcosa in più riguardo il suo manoscritto “Dal Porticato” editato da Il Seme Bianco. Incontreremo diversi personaggi, verità nascoste e tanto altro. Questo spazio ci aiuta a comprendere i retroscena i dubbi di chi crea e le aspettative. L’ intervista scritta è solo il primo passo perché domani pubblicheremo la recensione del libro e Sabato 25 l’ Autore sarà nostro ospite all’ interno del gruppo Amabili letture blog . Qui svilupperemo ulteriormente l’ intervista. Dalle 10.00 alle 13.00 Ottavio Mirra sarà con noi e soddisferà ogni curiosità ! Adesso è giunto il momento di accogliere il nostro ospite e diamo il via alle domande.
Chi è Ottavio Mirra?
Non è mai facile parlare di sé, ricostruire all’esterno l’immagine di quello che si è. Sovrastrutture a parte, credo che ognuno di noi sia identificabile per quello che fa e per come lo fa. Nella biografia mi sono descritto come “padre di due figli, velista, avvocato, il tutto rigorosamente in quest’ordine”. Una sorta di classifica semplificata delle priorità indicate per categoria, una scala di valori ridotti all’osso, diciamo così. Quelli legati all’intimo, ai sentimenti, agli stati d’animo, alle passioni, hanno maggiore rilevanza. E’ in quest’ottica che va letto l’elenco. Sono legato visceralmente ai figli, ormai grandi e semi autonomi, da sempre appassionato di “natura” in particolare di mare, amo però anche il mio lavoro, che svolgo con attaccamento e dedizione, ben sapendo che è ciò che mi dà da vivere. Nella più classica delle dicotomie: “ vivo per lavorare o lavoro per vivere”, scelgo la seconda opzione, sebbene non saprei vivere senza il lavoro, come non saprei vivere senza il resto. Dunque, per tornare alla domanda, sono uno molto curioso, aperto agli stimoli esterni, da qualunque parte provengano.
Quando ti sei avvicinato alla scrittura e quando hai sentito il bisogno di scrivere qualcosa di tuo?
Come spesso accade, ho cominciato a scrivere fin da ragazzino con un picco nell’età adolescenziale, diciamo fino al diploma più o meno. L’università e successivamente il lavoro, il cui ritmo negli anni è diventato sempre più incalzante, mi hanno giocoforza allontanato. Poi, una sera di alcuni anni fa, mi ritrovai improvvisamente a raccontare del pomeriggio appena trascorso, durante il quale tutti i cd. beni strumentali del mio studio legale, ovvero fax, computer, fotocopiatrice, avevano improvvisamente smesso di funzionare. Una sorta di ammutinamento rientrato solo in tarda serata. Beh, ci presi gusto, ritrovai la voglia di raccontare e soprattutto di scrivere con un linguaggio diverso, libero da quella forma gergale imposta dalla mia attività, e alla quale si è costretti nella redazione di atti giudiziari.
Cosa provi quando crei?
Per creare ho bisogno che ci siano le condizioni giuste, che abbia in qualche modo una fonte ispiratrice, qualunque essa sia. In particolari circostanze può essere anche un soffio di vento o una pianta nata spontaneamente in un vaso sul terrazzo. Dunque non scrivo con continuità, ho bisogno di uno stimolo. Una volta imboccata la strada però, resto molto concentrato sul testo, la mia mente è occupata esclusivamente dalla costruzione della storia e dei personaggi. Soprattutto nei confronti di questi ultimi, cerco di essere il più onesto possibile evitando giudizi e moralismi. Ne ho il massimo rispetto, lo stesso che riservo ai lettori. Non è casuale che scrivo spesso in prima persona, proprio per immedesimarmi il più possibile nel personaggio di cui narro.
Oggetto di discussione il tuo libro “Dal Porticato”. Vuoi parlarci a grandi linee di cosa si tratta e da dove nasce l’ispirazione?
“Dal Porticato” è una raccolta di racconti, quattordici in tutto, alcuni dei quali brevissimi, che apparentemente non hanno un tema comune. Sono storie che, pur essendo molto diverse tra loro, sono collegate da una sorta di filo rosso che le accomuna; filo rappresentato dalla sconfitta, ovvero dall’elemento che più caratterizza la nostra esistenza, quello che parifica l’umanità intera. La nostra società santifica il successo, lo acclama a gran voce, lo festeggia, segno che rappresenta un elemento d’eccezione rispetto alla quotidianità. Io ho voluto rappresentare in tutti i racconti proprio la quotidianità e ciò che ad essa è più legata, ovvero la fatica del vivere.
In ogni libro c’è un messaggio importante. Qui non abbiamo una storia continua, ma diversi racconti che trattano diversi argomenti delicati. Vorrei sapere se è risultato complicato o più difficile esporre un racconto più di un altro.
Il messaggio lanciato dalle pagine di un libro, in quanto rivolto a tutti, implica una responsabilità importante, dettata da una capacità che oserei definire superiore. Il messaggio dovrebbe avere, dunque, i crismi della verità assoluta o quanto meno della oggettività. Certamente non ho di queste capacità, per cui nel mio caso non parlerei di messaggio. Mi limito a descrivere situazioni, stati d’animo, do voce agli ultimi, i pari a della società, accendendo un riflettore direttamente sui luoghi in cui operano e nei quali siamo abituati a vederli gettando loro un’occhiata distratta. Circa le maggiori difficoltà di esposizione di un racconto piuttosto che un altro, devo dire che non mi pare di averne avute. Le difficoltà, per tutti, sono state quelle intrinseche alla scrittura. Per ognuno, dopo la prima redazione, ho fatto un lavoro di limatura che definirei per sottrazione, eliminando tutto quello che mi è sembrato superfluo e ridondante. Poi letture, riletture, correzioni, quasi all’infinito.
Il creare una Raccolta di esperienze, dare valore, sottolineare piccoli attimi di vita vera è frutto di strategia, nel senso che hai studiato il tutto per avvicinare una fascia precisa di lettori oppure è stato casuale?
Come dicevo prima, la Raccolta non è frutto di una strategia precisa. Di volta in volta mi hanno ispirato situazioni, fatti, circostanze, momenti di vita. Non ho pensato a una fascia particolare di lettori, spero però di riuscire ad essere trasversale sia riguardo all’età che al genere.
Scegliere una Cover adatta, che sa attirare e collegarsi al testo è complicato. Come hai scelto la Cover del tuo libro?
La copertina è stata scelta dall’editore che l’ha tirata fuori dal cilindro dimostrando una sensibilità straordinaria. Quando me l’ha sottoposta per l’approvazione, dopo che avevo scartato la prima che mi era stata proposta, sono rimasto davvero meravigliato per la capacità di collegamento con il testo, senza per questo apparire banale o particolarmente didascalica. Quel pesce, immerso per i due terzi, sembrerebbe la parte sommersa di un iceberg. Esattamente quanto ho cercato di fare in ogni racconto, lasciando al lettore tutto lo spazio per immaginare quanto altro possa esserci di sommerso dietro ogni storia.
Cosa ti aspettavi dopo la pubblicazione? E quali esperienze positive hai raccolto?
Il libro ha avuto un’accoglienza che è andata al di là di ogni mia più fantasiosa previsione, con recensioni che mi hanno quasi commosso e che non pensavo di meritare. L’esperienza di incontro con i lettori è stata sempre emozionante, e ho avuto il piacere di riuscire a fare qualche presentazione prima che il virus ci costringesse tutti in casa. Ho poi avuto anche il privilegio di partecipare a una mini rassegna letteraria organizzata da alcune associazioni di territorio in collaborazione con i ragazzi del Liceo Calamandrei di Ponticelli – Napoli. Quella è stata un’esperienza particolarmente emozionante. La visione di un teatro pieno di ragazzila domenica pomeriggio che sono lì a dialogare con gli autori, che fanno domande interessate e interessanti, non può lasciare indifferenti.
Cosa prova l’autore quando scrive la parola fine?
La parola “fine” rappresenta per me quasi un traguardo utopico, nel senso che ogni scritto, ogni racconto, lo riguardo continuamente apportando ogni volta correzioni, anche solo spostando o eliminando o aggiungendo una virgola. La vera parola “fine” l’ho apposta con la decisione non più rinviabile, perché sollecitato dall’editore, di autorizzare il cd. “visto si stampi”. E’ il momento in cui ho avuto la netta percezione che le mie parole non sarebbero state più mie, non avrei più potuto incidere in alcun modo su di loro, da allora in poi, se ne sarebbero andate in giro da sole. E’una vertigine, un burrone sul quale ti affacci, però sei contento, e molto.
Cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Hai già un nuovo progetto?
Ho diverse cose in cantiere, niente però di definito. Quando terminerà questo periodo di costrizione, spero di poter portare il mio libro ancora un po’ in giro, fissare nuove date per le presentazioni già programmate e che purtroppo sono saltate.
Ringraziamo l’Autore per la grande disponibilità, raccontare e raccontarsi non è sempre facile. Ricordiamo che Ottavio Mirra sarà ospite 25 nel gruppo Amabili letture blog. Vi aspettiamo alle 10.00 in punto! Non mancate e ricordatevi sempre…
Amabili letture blog. Ciaooooo
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